Francesco Dandolo
Università Federico II di Napoli
Il mio ringraziamento più sentito va a chi ha reso possibile questa occasione di incontro, significativamente qualificato dalle pregevoli presenze del Presidente della Fondazione Einaudi Maurizio Sella e del Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana Antonio Patuelli, nonché dalla manifestazione di affettuosa e autorevole attenzione che ha voluto riservargli il Ministro dell’Università professore Gaetano Manfredi. Sono molto riconoscente anche ai due carissimi amici e colleghi i professori Gaetano Sabatini e Giovanni Farese, che hanno accettato di presentare il mio volume con il rigore e la sapienza che caratterizzano la loro attività scientifica. Sono grato al dottore Federico Pascucci per aver promosso e costantemente accompagnato con proficui suggerimenti la ricerca. Infine, ringrazio i colleghi Filippo Sbrana e Valerio Torreggiani per aver realizzato il ricco e articolato inquadramento storiografico entro cui si muove l’intensa fase di formazione, ricerca e impegno sociale di Luigi Einaudi.
Fin da subito esprimo la mia viva soddisfazione per la possibilità offertami di poter fare una più generale riflessione sul lavoro di ricerca svolto, registrando con sincero compiacimento l’attenzione suscitata dalle varie questioni trattate nel volume e sviluppate negli interventi che si sono susseguiti, tutti molto densi e ricchi di spunti. Ringrazio infine per le espressioni di stima e di apprezzamento che mi sono state indirizzate.
Nello studiare da vicino la figura di Luigi Einaudi mi ha anzitutto colpito la sua forte volontà di imparare il mestiere dell’economista operando su due piani che si pongono in modo complementare:
- un approccio straordinariamente concreto alla realtà, al punto da indurlo a farsi giornalista e a realizzare vere e proprie inchieste nei luoghi di lavoro;
- il sistematico inquadramento dei risultati delle ricerche effettuate sul campo in un solido impianto teorico definito e continuamente aggiornato attraverso lo studio assiduo e, più in generale, la coltivazione della passione del sapere.
Einaudi è convinto che il ragionamento economico non possa essere sviluppato senza il confronto con l’evoluzione della realtà quotidiana e, in questa chiave, compie una scelta di grande umiltà andando a conoscere di persona i nuovi imprenditori dell’Italia giolittiana e seguendo direttamente l’andamento degli scioperi a Biella e a Genova e, più in generale, in tutti i centri del nascente triangolo industriale dell’età giolittiana.
L’intento di Einaudi è di capire l’uomo nei suoi molteplici bisogni, prendendo spunto dall’osservazione della realtà fattuale e individuando nelle relazioni sindacali la possibilità che questi bisogni assurgano a sicura dignità, al punto da diventare oggetto primario di confronto e di contrattazione. La verifica sul campo lo convince che i nuovi imprenditori siano figure estremamente fragili nel mondo del lavoro e non esita a riconoscere la migliore organizzazione che caratterizza le rappresentanze operaie. Ciò nonostante la nascente classe degli industriali è sollecitata a non essere spaventata dalla prospettiva di affrontare le trattative con le organizzazioni dei lavoratori ed è invitata a rinunciare a ricorrere all’arma più facile, ma senza prospettive, della coercizione e della violenza.
Perché il vero problema che si pone nella fase di nascente industrializzazione del Paese è quello di governare la pluralità degli interessi in gioco, da considerare peraltro in una accezione laica, senza assumere atteggiamenti negazionisti o discriminatori. Il conflitto, infatti, è sistemico e come tale deve essere governato dalle due parti che costituiscono l’ossatura della produzione.
In Einaudi è molto chiara la distinzione dei ruoli che deve caratterizzare la dialettica tra imprenditori e lavoratori, per cui diventa centrale la ricerca di punti di sintesi tra la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori e la garanzia del corretto sviluppo dell’attività industriale e della ricerca della sua efficacia produttiva. Infatti, il profitto aziendale non deve mai essere sacrificato, ma anzi va perseguito con pervicacia da industriali e operai in quanto è solo attraverso l’utile che è possibile assicurare e accrescere il benessere del Paese.
In questa prospettiva il governo degli interessi è reso possibile dalla comune percezione della loro molteplicità e dall’esigenza di innalzare la qualità del livello della negoziazione nell’ambito di una piena riconoscibilità e legittimità delle due parti. Nell’interlocuzione deve avere un ruolo essenziale la dignità degli uomini, individuando allo stesso tempo con atteggiamenti di lealtà e di rispetto reciproci i temi e i modi attraverso i quali è possibile sviluppare la contrattazione.
Nella rappresentazione degli interessi generali, Einaudi distingue con lucidità tra una logica oligarchica (che rifiuta) e una logica aristocratica (che invece propugna), facendo registrare a questo riguardo una significativa analogia con il pensiero gramsciano secondo cui l’aristocrazia operaia è chiamata a farsi carico delle grandi istanze del mondo del lavoro proprio per poter dare dignità e rappresentatività ai bisogni dell’uomo.
Non c’è in lui alcuna traccia di orientamento discriminatorio nei confronti degli imprenditori e dei lavoratori, in quanto il lavoro diventa comune fonte primaria di realizzazione dell’uomo, intesa come piena soddisfazione e completamento della vita.
Egli esalta questo concetto fino ad arrivare a parlare di «gioia del lavoro», in un’epoca in cui le condizioni di lavoro che si registravano nelle fabbriche e nei campi rischiavano di rendere enfatica questa espressione, se non addirittura frutto di una visione utopistica della realtà. Ma Einaudi continua a coltivare con ostinazione l’idea della «gioia del lavoro » anche nel difficile periodo del primo dopoguerra, rischiando di conferire a essa una connotazione per certi versi anacronistica ove riferita alla situazione reale in cui viene affermata.
Eppure – ed è l’ultima considerazione che vorrei esporre – si tratta di un obiettivo da tenere presente sempre, anche quando nella realtà contingente domina la cupezza del lavorare. In tal modo, è proprio nelle tematiche connesse al lavoro che è possibile cogliere l’intrinseco legame tra realtà e idealità che sosterrà le analisi e la riflessione nell’arco dell’intera esistenza di Luigi Einaudi vissuta non solo nell’ottica propria di un’economista, ma nella consapevolezza di voler esercitare un’eminente funzione sociale e civile.