Le lezioni di Einaudi da rileggere e rimeditare

Maurizio Sella

Presidente Istituto Luigi Einaudi per gli studi bancari, finanziari e assicurativi

Sono particolarmente lieto, in qualità di Presidente dell’Istituto Luigi Einaudi per gli studi bancari, finanziari e assicurativi, di dare il benvenuto a tutti coloro che hanno deciso di partecipare, sia pure in modalità «virtuale», alla presentazione del volume di Francesco Dandolo Luigi Einaudi e l’associazionismo economico nell’Italia liberale.

Mi unisco ai ringraziamenti già espressi dal Dott. Pascucci nei confronti di coloro che prenderanno la parola nel corso del pomeriggio e, in particolare, al Ministro dell’Università e della ricerca, Prof. Gaetano Manfredi, e all’amico Antonio Patuelli, Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana. Sono sinceramente grato anche gli accademici che hanno accettato di commentare il volume dal punto di vista scientifico. Fu proprio il Dott. Patuelli che nel 2008 mi accompagnò e sostenne nel far nascere l’Istituto Luigi Einaudi come ideale continuazione di quell’Ente Einaudi, da me precedentemente presieduto, costituito nel 1965 a iniziativa del Governatore Guido Carli e del Presidente dell’ABI Stefano Siglienti al fine di coltivare le giovani eccellenze destinate a operare nel settore del credito. Dopo oltre quarant’anni di attività, Banca d’Italia e Associazione Bancaria Italiana decisero di sciogliere l’Ente nella comune convinzione che sarebbe stato possibile meglio perseguire le finalità per le quali esso era stato costituito dando vita, ognuno per sé, a due diverse Fondazioni dedicate a onorare, con modalità e sensibilità diverse, il nome di Luigi Einaudi.

Noi abbiamo ritenuto opportuno fare della nostra Fondazione una sede dedicata all’approfondimento storico dei temi alti della cultura economica e bancaria italiana, in coerenza con il magistero einaudiano.

Permettetemi di riservare una preliminare sottolineatura alla decisione di organizzare questa presentazione nonostante le difficoltà del momento non cedendo, come in precedenza rilevato anche dal Dott. Pascucci, all’ansia e allo sconforto provocato dalla pandemia.

D’altra parte, Winston Churchill ammoniva a «non permettere mai che una buona crisi vada sprecata». Ed è proprio con questo spirito che, attraverso questo evento, intendiamo riaffermare – nell’intento che essa si possa sempre maggiormente diffondere – la convinzione che studiare il passato significa individuarne e metterne in evidenza i valori più importanti, sapendo che la loro declinazione insieme ai nuovi valori che il progresso dell’uomo propone sia il modo più adeguato per preparare un avvenire migliore per noi e per chi verrà dopo di noi.

Fin dai miei ricordi più lontani rammento di aver sentito affermare da maestri e familiari che la storia è maestra di vita e che, di conseguenza, quando ci si trova di fronte alla necessità di effettuare una scelta importante occorre sempre guardare a cosa è successo in passato. E l’aver letto a p. 29 del libro di Dandolo che anche «per Einaudi è essenziale illuminare le dirompenti questioni del presente nell’ottica di una lettura storica», costituisce un’ulteriore autorevole conferma della validità dell’assunto e, quindi, dell’utilità dell’evento di oggi.

Il volume inaugura la collana che, nel quadro di un accordo di collaborazione sottoscritto con ABIServizi-Bancaria Editrice, raccoglierà i lavori scientifici promossi e/o realizzati dall’Istituto. La scelta del partner editoriale è stata naturale, dal momento che l’Istituto è una diretta emanazione dell’Associazione Bancaria Italiana, per cui sarebbe stato improprio non rivolgersi alla casa editrice dell’ABI per le nostre pubblicazioni.

La realizzazione del volume di Francesco Dandolo appare coerente con la decisione adottata nel 2017, a quasi dieci anni dalla costituzione dell’Istituto, allorché si convenne sull’opportunità di valorizzarne l’identità originaria, individuando le nuove iniziative da realizzare nell’approfondimento di alcune tematiche trattate da Luigi Einaudi, con specifico riferimento a quelle bancarie e finanziarie.

In tale contesto, il primo filone da studiare fu rinvenuto in una convinzione maturata da Einaudi negli anni dell’esilio svizzero (1943-1944) – trascorso in una zona poco a nord della grande montagna delle Alpi francesi, la Bard des Ecrins, la cui riproduzione vedete alle mie spalle – secondo cui «la società sana è quella in cui fra l’individuo e lo Stato abbia esistenza autonoma una fitta rete di organismi e corpi intermedi», tra i quali vanno annoverate anche «le leghe dei lavoratori e degli imprenditori, associazioni volontarie e non coattive, che si accordino fra loro senza mediazioni statali di alcun tipo».

Einaudi riconosce dunque alle «leghe» dei lavoratori (gli attuali sindacati) e degli imprenditori (le attuali associazioni imprenditoriali) una fondamentale funzione di collegamento, in qualità di «organismi e corpi intermedi», tra il cittadino e lo Stato.

Il tutto inserito, da una parte, nella dialettica (giudicata da Einaudi feconda e auspicabile) tra lavoro e capitale all’insegna della «bellezza della lotta» intesa in chiave non marxista ma di liberale esaltazione delle forze del mercato e, dall’altra parte, nella convinzione che la caratteristica dominante della struttura economica moderna non sia il capitalista, ma l’imprenditore, l’inventore e l’organizzatore, laddove il capitalista non è altro che il risparmiatore e che di migliaia di risparmiatori si serve l’imprenditore per realizzare i suoi scopi.

A questo riguardo, mi piace citare un passo, riportato a pag. 39 del volume, in cui Einaudi sostiene che «in Italia nessuna politica economica sarebbe tanto nefasta per le classi operaie quanto quella la quale pretendesse di aumentare i salari dei lavoratori a spese dei profitti degli imprenditori e degli interessi dei capitalisti. Siffatta politica impedirebbe la formazione, già così lenta e scarsa, dei nuovi capitali e ucciderebbe quello spirito di intraprendenza così raro da noi, al quale solo si deve se alcune regioni d’Italia si trovano in discrete condizioni rispetto alle altre».

Io credo profondamente in queste affermazioni, naturalmente con tutti gli adattamenti e le attualizzazioni richieste dal mutamento dei tempi e delle filosofie, e sono persuaso che ancora oggi una delle chiavi dello sviluppo del nostro Paese risieda proprio in queste parole.

La perdurante rilevanza dell’intuizione einaudiana sulla rilevanza dell’associazionismo economico ha dunque convinto l’Istituto ad approfondirla, investigandone natura e fondatezza attraverso un programma di ricerca articolato in tre anni e volto alla ricostruzione della genesi e dell’evoluzione storica dell’associazionismo economico in generale, con specifica attenzione a quello bancario e finanziario.

Il volume che presentiamo copre gli anni 1899-1919 e costituisce il primo risultato di questa ricerca. A esso ne seguiranno altri due volti a ricostruire l’evoluzione del pensiero einaudiano sul fenomeno dell’associazionismo, rispettivamente, negli anni del fascismo (1920-1939) e nel periodo bellico e repubblicano (1940-1961).

Il volume ricostruisce il pensiero del «giovane» Einaudi sull’associazionismo economico inquadrandolo – attraverso il saggio curato da Filippo Sbrana e da Valerio Torreggiani (Le associazioni degli imprenditori in età liberale. 1861-1920) – nel più ampio contesto dell’evoluzione del fenomeno associativo coevo.

L’analisi originale del pensiero einaudiano e il saggio di inquadramento storico intendono porsi in modo complementare nel fornire una lettura organica delle riflessioni di Einaudi che, senza una ricostruzione generale di ampio respiro basata sulla minuziosa raccolta della letteratura prodotta in materia di associazionismo imprenditoriale (richiamo al riguardo l’importante bibliografia costituita da ben 278 opere citate, che costituisce una sezione essenziale della ricerca condotta), rischierebbe di essere compresa solo in modo parziale e autoreferenziale.

In buona sostanza, nel volume che presentiamo sono presenti quattro ricostruzioni storiche:

il pensiero del «giovane» Einaudi sull’associazionismo economico e, meglio, sui conflitti tra lavoratori e imprenditori e sulle modalità di comporli;

l’origine dell’associazionismo industriale caratterizzato non solo dalla contrapposizione con gli operai, ma anche e soprattutto dallo sforzo degli industriali di farsi riconoscere come classe dirigente nei decenni post-unitari dominati in Parlamento e nell’opinione pubblica dalla convinzione che l’agricoltura fosse il settore primario dell’economia della neonata Italia;

l’origine dell’associazionismo agrario ispirato dalla difesa dei privilegi e delle posizioni acquisite a fronte della crescente pressione dei braccianti e dei salariati agricoli, con la progressiva frantumazione di un interesse originariamente unitario;

l’origine dell’associazionismo creditizio caratterizzato dalla sostanziale assenza di una controparte avversa costituita dai dipendenti ai quali contrapporsi e, piuttosto, impegnato a ricondurre a unità le posizioni di una varietà di “datori di credito” estremamente variegata come origini, finalità e modalità di azione.

Francesco Dandolo riesce a «far parlare» Einaudi, sviluppandone il ragionamento attraverso la traccia costituita dagli scritti apparsi sulla stampa quotidiana (Corriere della Sera, Stampa), periodica (Riforma sociale) e scientifica (Lezioni di Economia Politica).

Al termine della lettura viene agevole enucleare i concetti chiave che ispirano la posizione del «giovane» Einaudi sull’associazionismo economico:

la formazione di associazioni di rappresentanza degli interessi degli industriali e dei lavoratori è un frutto maturo del capitalismo liberale e contribuisce ad assicurare la «pace sociale»;

va riconosciuta piena libertà alla dialettica fisiologica fra le rappresentanze collettive dei lavoratori e degli imprenditori;

deve essere ferma la determinazione nel considerare il lavoro come strumento di elevazione dell’uomo. Consentitemi a questo riguardo di sottolineare come su questo punto Einaudi fu autorevole precursore del fondamentale articolo 1 della nostra Costituzione («L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro») e, per altro verso, colse in pieno le ragioni alla base dell’istituzione avvenuta nel 1901 dell’Ordine cavalleresco al merito del lavoro, volto a premiare cittadini che si rendessero singolarmente benemeriti, segnalandosi nell’agricoltura, nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nell’attività creditizia e assicurativa attraverso la creazione o l’ampliamento delle loro imprese;

lo Stato deve svolgere un ruolo distaccato ma non indifferente nel rapportarsi alle dinamiche sociali, cioè deve porsi come regolatore, ma non anche come fattore dinamico della produzione.

Di sicuro interesse risulta essere anche l’inquadramento logico e concettuale del pensiero di Einaudi, convinto dell’esistenza di un nesso inscindibile tra la fecondità dell’osservazione empirica, il lavoro strettamente scientifico e l’attività pubblicistica.

Mi piace concludere questo mio intervento introduttivo con tre autorevoli citazioni che confermano e valorizzano quanto emerge dal volume che vi stiamo presentando e che, mi auguro, servano da stimolo per la lettura dello stesso. Mario Draghi ha affermato che «Einaudi apprezzò e valorizzò le istituzioni, i corpi intermedi fra l’individuo e lo Stato …Sono, nella sua visione, antidoti ai mali insiti nella società di massa; palestre dove ci si educa all’organizzazione e alla direzione. Il governo dei corpi intermedi è per Einaudi la miglior scuola per la formazione della classe dirigente nazionale».

Alfredo Gigliobianco ha osservato che per Einaudi «l’autoorganizzazione (così come si esplica nel comune, nel sindacato, nell’associazione culturale o scientifica) è la ginnastica del corpo sociale: lo mantiene sano e vivo, ed è nei fatti una componente irrinunciabile della libertà».

Infine, Alberto Giordano ha rilevato che «il rimedio politico alla standardizzazione dei comportamenti sociali richiede per Einaudi l’esaltazione della indispensabile funzione esercitata dai corpi intermedi, i quali non avrebbero soltanto costituito un ulteriore argine al ritorno – pur sempre possibile – della tirannia, ma avrebbero anche permesso il pieno sviluppo della personalità dei cittadini».

Lezioni importanti impartite da questo illustre, straordinario piemontese che tutti noi siamo chiamati a rimeditare.