Gaetano Manfredi
già Ministro dell’Università e della Ricerca
Tenevo particolarmente a portare il mio saluto e a dare il mio contributo a questa presentazione, anche per i rapporti di amicizia e di grande stima che mi legano a Francesco Dandolo.
Non voglio e non posso entrare nel merito dei contenuti specifici del libro, che costituisce senza dubbio un contributo importante agli studi su quella figura straordinaria del panorama politico e intellettuale che è stato Luigi Einaudi. Desidero invece sottolineare alcuni aspetti del suo pensiero che mi sembrano di grande attualità, tenuto conto che la fase pandemica che stiamo vivendo sta mettendo in discussione una serie di paradigmi che sembravano immutabili con riguardo alle prospettive della nostra società globalizzata e che invece oggi richiedono un momento di riflessione e di dibattito che non può non partire dalla conoscenza e dallo studio di quelli che sono stati i punti di riferimento della cultura economica e delle istituzioni italiane.
Einaudi ha rappresentato una sintesi tra il rigoroso impegno istituzionale, che ha sempre assolto con altissimo senso dello Stato, e un grande spirito di indipendenza, che ha alimentato con una continua attività di ricerca, di sviluppo intellettuale e di contributo di insegnamento. Ha quindi interpretato l’appartenenza alle istituzioni come un servizio, cioè come uno strumento per mettere a disposizione della collettività un sapere, una conoscenza. E lo ha fatto affermando una visione dell’economia intesa non come fine, ma come mezzo per valorizzare la dignità dell’individuo attraverso lo sviluppo delle sue competenze, della sua capacità lavorativa e della sua partecipazione allo sviluppo della società.
Questi valori assumono una grande rilevanza nel momento storico che stiamo vivendo, nel quale tutti sentiamo la necessità che venga data una risposta adeguata alle priorità dettate dall’emergenza e, in particolare, alla protezione della salute dei cittadini e, al tempo stesso, alla salvaguardia del sistema economico e del lavoro.
È ormai chiaro come la pandemia abbia rappresentato un punto di rottura rispetto agli schemi economici del passato, che già avevano mostrato una serie di limiti sotto il profilo della tenuta sociale a causa della rilevante crescita delle disuguaglianze e dei divari. Una situazione che ha alimentato lo sviluppo di pericolose forme di populismo e l’insorgere di fenomeni di tensione sociale, che senza dubbio non hanno contribuito allo sviluppo e al rafforzamento delle democrazie occidentali.
Questa constatazione ha aperto un momento di riflessione e di dibattito, poiché a eventi di carattere straordinario (quali sono quelli che stiamo registrando in questi mesi) occorre rispondere con strumenti di natura altrettanto straordinaria. La risposta che è stata data dal nostro Governo e dalla maggior parte dei Governi occidentali è stata l’immissione nell’economia di un’importante quantità di risorse pubbliche per garantire la tutela dei posti di lavoro ed evitare il collasso dell’economia. Si è cioè deciso di rafforzare la presenza dello Stato per affrontare una congiuntura gravida di forti rischi. Tuttavia le scelte effettuate costituiscono una risposta di tipo emergenziale, per cui fin da ora noi dobbiamo lavorare alla definizione del nuovo modello economico e sociale che intendiamo adottare al termine di questa fase turbolenta. E nella costruzione di questo modello non possiamo dimenticare gli ammonimenti che ci vengono dal più recente periodo, laddove le scelte fatte hanno inciso profondamente su alcuni beni primari – la salute, il lavoro, l’equità, l’educazione – determinando problemi dai cui effetti nefasti risultano aggravate le odierne difficoltà.
Decidere di tutelare maggiormente il valore pubblico di questi beni primari non significa, però, ritenere inevitabile una più estesa presenza dello Stato nell’attività economica, per cui dobbiamo essere capaci di definire un nuovo modello che garantisca il giusto ruolo al privato e all’impresa in un sistema più attento al bene comune e all’equità sociale.
Si tratta di una sfida resa più complessa dal fatto che si incrocia con una profonda trasformazione della società e della produzione del valore legata all’uso delle nuove tecnologie e alla transizione digitale e energetica. La sfida può essere vinta coinvolgendo tutto il sistema del pensiero, dalle università agli enti di ricerca e, più in generale, a tutto il mondo intellettuale.
In questa logica, sarà possibile dare un contributo decisivo all’individuazione di una nuova strada soltanto se si partirà dallo studio e dalla conoscenza di quelli che sono stati i grandi esempi e le grandi esperienze del passato.
Credo che Luigi Einaudi faccia parte a pieno titolo della ristretta cerchia dei grandi pensatori in grado di indicare la via da seguire, per cui le iniziative di studio del suo pensiero, come quella che oggi presentiamo, acquistano un valore quanto mai attuale. Sono infatti convinto che mai come in questo momento lo studio della storia economica possa rappresentare una leva importante per costruire il futuro.